Peggy Guggenheim Collection, Palazzo Venier dei Leoni

Palazzo Venier dei Leoni a Venezia fu acquistato nel 1949 da Peggy Guggenheim, che vi abitò per il resto della sua vita. Nata a New York nel 1898 da una ricca famiglia ebrea-svizzera, l’esistenza di Marguerite fu contraddistinta da un’infanzia dorata e allo stesso tormentata dai continui problemi coniugali dei genitori e dalla perdita del padre nel tragico inabissamento del Titanic, avvenuto il 14 aprile del 1912.  

E’ a New York, alla vigilia della seconda guerra mondiale, che la maggior parte degli artisti europei si rifugeranno per scampare ai regimi autoritari ed è qui che la collezionista e mecenate americana porrà molti di loro sotto la propria ala protettrice. Nel 1941 sposerà Max Ernst, espressionista di origine, diventato poi uno dei massimi esponenti del folto gruppo di artisti appartenenti al filone Dadaista-Surrealista. Il trasferimento di molti artisti in America determinerà la fine dell’arte in Europa e lo sviluppo di una diversa concezione artistica. Peggy Guggenheim può essere considerata la più grande mecenate del XX secolo, “una persona che sente una responsabilità verso arte e artisti” come la definisce l’amico Alfred H. Barr Jr. (storico dell’arte e primo direttore del Museum of Modern Art di New York), nell’introduzione all’autobiografia della Guggenheim “Una vita per l’arte”. Con il soldi ereditati dalla famiglia Guggenheim-Seligman, Peggy (soprannominata così da Sir Herbert Read) aprì la sua prima galleria “Guggenheim Jeune” nel 1938 a Londra, chiusa dopo poco più di un anno. Successivamente avviò una seconda galleria d’arte a Place Vendome, sotto consiglio di Howard Putzel e Nellie Van Doesburg (vedova di Theo Van Doesburg). Inaugurò nel 1942 a New York la galleria “Art of This Century”, che divenne presto un centro organizzativo di tutte le attività d’avanguardia. Qui esporranno le proprie opere artisti come Piet Mondrian e un giovane Jackson Pollock. La Guggenheim concesse lui un vitalizio, consentendogli così di potersi dedicare completamente alla pittura, abbandonando il lavoro come falegname presso il museo dello zio Solomon, lì dove lo aveva conosciuto. Pollock, definito da Peggy come il miglior pittore esistito dai tempi di Picasso, divenne la figura centrale della galleria. Dal 1943 si dedicò completamente a lui come mecenate, con la moglie Lee Krasner che faceva da intermediaria, fino al 1947, quando lasciò l’America, trasferendosi in Italia, e chiudendo definitivamente “Art of This Century”. La Guggenheim fu artefice del rilancio della Biennale di Venezia dopo la guerra e nel 1948 presentò la propria collezione nel padiglione greco (rimasto inutilizzato a causa della guerra e allestito per lei dall’architetto Carlo Scarpa), durante la prima rassegna veneziana del dopoguerra. Nel 1949, chiamata a Firenze dallo storico dell’arte Carlo Ludovico Ragghianti, inaugurò gli ambienti della Strozzina (la cantina di Palazzo Strozzi) con una mostra memorabile. Nello stesso anno, come già detto, acquistò nel sestiere di Dorsoduro, affacciato sul Canal Grande, Palazzo Venier dei Leoni, sua dimora fino alla morte avvenuta nel 1979. Fu seppellita nel giardino di questa casa-museo-cimitero privato insieme ai suoi adorati terrier. Qualche anno prima, nel 1976, lasciò la sua collezione e il palazzo alla Fondazione dello zio, Solomon R. Guggenheim, con la clausola che sarebbe rimasta sempre a suo nome e che avrebbe avuto fissa dimora nella sua adorata Venezia.

Il museo comprende una collezione permanente di arte europea e americana del XX secolo, dal Cubismo al Futurismo, dall’Astrattismo al Surrealismo, l’Espressionismo astratto americano, l’arte europea e americana degli anni ’80 e le opere dei maggiori scultori del ‘900. Preserva un prestito a lungo termine di opere del Futurismo italiano delle collezioni di Gianni Mattioli e le collezioni Hannelore B. e Rudolph B. Schulhof, dedicate al dopoguerra europeo e americano, con opere di Albero Burri, Alexander Calder, Lucio Fontana, Mark Rothko, Cy Twombly. Nel giardino ci sono sculture di Jean Arp, Alberto Giacometti, Mario Marini e reperti di epoca bizantina, un pozzo e un trono. Tra i capolavori dell’esposizione permanente, meraviglioso è il quadro di René Magritte intitolato “Impero di Luce” (1953). In questo dipinto la compresenza del giorno e della notte è un esempio di estraniamento, un principio fondato sulla contraddizione. I precedenti di Magritte sono nella metafisica e la sua pittura è precisa e meticolosa come quella di un fiammingo antico. E’ proprio con la sua esattezza che riesce a cogliere la realtà in sintesi, una realtà più analitica e quindi surreale. La sua tradizione culturale di provenienza belga muove Magritte nella rappresentazione fantastica di sogni e incubi. Utilizza nei sui dipinti un meccanismo di associazione di parti incongruenti, rappresentando così l’inconscio con l’incongruenza. Il museo inoltre allestisce importanti esposizioni temporanee. “Solo per i tuoi occhi-Una collezione privata, dal Manierismo al Surrealismo” è la mostra prevista dal 24 maggio 2014 al 31 agosto 2014. Una grande collezione quella di Peggy Guggenheim, in cui il Surrealismo ha avuto sicuramente un ruolo rilevante, facendo la parte del leone, e il cui risultato è frutto di acquisti quotidiani di opere d’arte, seguendo alla lettera il suo motto “Compra un quadro al giorno”, realizzati anche grazie all’aiuto del caro amico e amante Marcel Duchamp, che la educò all’arte moderna, e ai consigli di André Breton e di Max Ernst.

Consigliamo la splendida autobiografia di Peggy Guggenheim “Una vita per l’arte” (titolo originale “Out of This Century). In copertina una bellissima foto dell’autrice, realizzata da Man Ray, vestita con uno spettacolare abito da sera in oro di Paul Poiret, acconciata da Vera Stravinsky (moglie del noto compositore) e con tra le mani un vezzoso cannello. Le parole di Maggie (come la chiamava il padre da bambina) ci testimoniano le tappe più importanti della sua vita e i nomi delle persone incredibili che le hanno attraversate insieme a lei. La prefazione è di Gore Vidal, noto scrittore e drammaturgo americano, che la paragona ad un’eroina di Henry James, una sorta di “Daisy Miller che partecipa a tutte le feste”. Questa autobiografia, in alcuni tratti molto simile ad un romanzo rosa appassionante, soprattutto nella lunga parte scritta nel 1946, ci regala una visione inedita, scorci di vita e ricordi personali della più grande collezionista d’arte del XX secolo. Si riesce a cogliere, in questa affascinante figura del campo dell’arte, le sfumature di un carattere schietto e di una personalità eccentrica, di una donna moderna, libertina e bohémien, che contraddistingueva colei che fu definita l’ultima Dogaressa di Venezia. La Guggenheim nel libro fa una considerazione molto significativa sull’arte e ne riportiamo qui un passo: “Credo che questo secolo abbia assistito a molti grandi movimenti, ma quello che indubbiamente si eleva al di sopra di tutti gli altri è il Movimento Cubista, che aveva cambiato volto all’arte; e mi sembra naturale che ciò sia accaduto in seguito alla rivoluzione industriale. L’arte è specchio del suo tempo, e quindi era necessario che cambiasse completamente, perché il mondo cambiava, in modo vasto e rapido. Non ci si può aspettare che ogni decade produca un genio, ed il ventesimo secolo ne ha prodotti già abbastanza. Non dobbiamo aspettarci di più, perché anche un terreno arato ha bisogno di restare incolto di tanto in tanto”.

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